venerdì 8 febbraio 2008

Arancia meccanica


Mi sembra giusto che, in un blog che cerca di occuparsi di musica, cinema, attualità, ci sia la recensione di un piccolo capolavoro moderno. E mi sembra anche giusto che a fare tale recensione sia il Vostro Umile Narratore, che poi sarei io, che di ritorno da Milano per Cosenza per passare un paio di giorni di riposo dalle attività scolastiche seregnesi (vedi i miei post su DropSea), ha finito di leggere l'Arancia Meccanica di Burgess, e non già di vedere l'omonimo film di Kubrik.
Che poi le differenze, a detta dell'autore (l'edizione Einaudi contiene oltre al romanzo, che ha un capitolo in più rispetto alla prima edizione originale, anche un intervento di Burgess sul film di Kubrik e un'intervista a Kubrik stesso) e dello stesso regista non sono poi così tante, se si eccettuano alcuni cambiamenti in fase di stesura della sceneggiatura che, come spiega Kubrik nell'intervista, sono stati necessari per rendere più chiaro il punto i vista di Burgess, altrimenti non possibile con una pedissequa rappresentazione cinematografica del romanzo. Altro cambiamento importante è l'esclusione dell'ultimo, rassicurante capitolo, aggiunto successivamente probabilmente su pressione dell'editore, e qui si può tranquillamente essere d'accordo con il geniale regista. Ma andiamo con ordine e parliamo del romanzo.
Uno degli equivoci cui Arancia meccanica (anche il film) è andato incontro è la rappresentazione della violenza fine a se stessa. Tale rappresentazione è, però, ai fini narrativi, assolutamente necessaria, perché l'opera letteraria può essere fruita completamente solo se si chiariscono i punti cardine nel suo complesso, e non estrapolando ciò che fa più comodo al critico di turno. Nella prima parte viene, in effetti, narrata una escalation di violenza che porta Alex, il narratore nonché protagonista della vicenda, nelle patrie galere britanniche. Alex e la sua banda (i suoi soma), scorrazzano per la città picchiando a sangue, distruggendo ciò che incontrano, per il solo gusto di farlo, giovani teppisti di una società in continuo mutamento, e Burgess è così abile nel descrivere i loro comportamenti eccessivi che si è naturalmente portati a desiderare per i giovani protagonisti tutto il male possibile. In pratica questa prima parte è una fotografia della società così come è ancora oggi in molte grandi metropoli dell'occidente civilizzato.
La seconda parte narra delle peripezie di Alex nella prigione, dai suoi tentativi di sfuggire alle sodomie dei compagni di cella fino all'ultimo caso di violenza che ha portato alla morte di un altro carcerato, malmenato a sangue da Alex e compagni. Alla fine, come già per l'omicidio della vecchia che alla fine della prima parte portò Alex in prigione, anche in questo caso i suoi compagni di cella lo tradiscono, lo lasciano solo al suo destino. In questo senso questa prima fase della vita carceraria di Alex è abbastanza tipica di ogni carcerato: basta leggere i romanzi e la biografia di Edward Bunker (esempio lampante è sicuramente Cane mangia cane), che rappresenta una società che non vuole assorbire in essa tutti coloro che hanno scontato con responsabilità i loro carichi pendenti nei confronti della collettività (so che quello che ho scritto è fin troppo sintetico, ma mi riservo di parlarvi di Bunker in futuro, qui o su DropSea). La seconda fase della vita carceraria è, in pratica, il lavaggio del suo povero cervello. Negli anni in cui A Clockwork Orange (titolo originale dell'opera) venne concepito, si stava facendo largo l'idea di proporre il lavaggio del cervello per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Burgess, in risposta a tale idea, concepisce, scrive e pubblica le avventure di Alex, che nelle ultime due settimane di detenzione viene sottoposto ad una tecnica rivoluzionaria: la somministrazione di un mix chimico che lo costringe ad avere rigetto fisico nei confronti della violenza e di tutto ciò che la sua mente associa alla violenza, su tutto la sua amata musica classica, da Ludvig van a Mozart e passando per Bach!
Viene così restituito al mondo, nella terza parte, un Alex non già mondato e rinato a nuova vita, ma inibito nelle sue pulsioni, impossibilitato a difendersi da una torma di vecchietti che lo assale nella biblioteca pubblica, o dai suoi ex-compagni di pestaggio ormai diventati poliziotti. Trova salvezza nella casa di un uomo cui, a suo tempo, violentò la moglie (opportunamente coperto da una maschera), e che alla fine lo presenta ad alcuni amici che lo useranno per i loro fini politici. Ed alla fine il fatto che Alex, così come i suoi compagni di violenze, sia una pedina nel gioco politico del potere è non solo una delle chiavi di lettura del romanzo, ma probabilmente anche la più importante. In pratica Alex è veramente libero solo nella prima parte del romanzo, quando la sua pur discutibile scelta di violenza è comunque di Alex e soltanto sua. Dall'omicidio della vecchia in poi il ragazzo, nel romanzo un quindicenne, non è più libero, prima perché in prigione, poi perché con il miraggio della libertà fisica, viene privato di quella di scelta, ed infine perché il suo ritorno alla violenza (come si legge nel debole capitolo conclusivo, aggiunto successivamente, come già detto) è in pratica dovuto a quello stesso Governo che lo aveva chimicamente lobotomizzato.
In conclusione un bel romanzo, che come spesso capita a tutti i bei romanzi, non viene compreso appieno e si punta l'attenzione solo su alcuni aspetti marginali, che in realtà sono necessari solo per chiarire il più ampio discorso sulla libertà individuale di scegliere il proprio destino. Una libertà che dovremmo dare a tutti.